12 febbraio 2011

NOTIZIE GIURIDICHE

Cassazione: impiegata che emette fatture false e pagamenti in nero va condannata insieme al capo anche se ha solo seguito indicazioni del datore di lavoro

La Corte di Cassazione, con sentenza 4638/2011, ha ritenuto infondati i motivi di ricorso avanzati da una dipendente condannata, nei precedenti gradi di giudizio, per aver eseguito modalità di illecita gestione del personale concretizzante gli illeciti di truffa nei confronti degli enti previdenziali, nonché l'emissione di fatture irregolari. La Suprema Corte non accoglie le difese delle lavoratrice basate sull'affermazione che i comportamenti penalmente rilevanti dovevano essere attribuiti esclusivamente alla responsabilità del datore di lavoro, di cui la stessa si era limitata ad eseguire gli ordini finalizzati a coprire, tra l'altro, pagamenti in nero e una doppia contabilizzazione interna dei movimenti finanziari. Nel ricorso la dipendente sostiene la non rilevanza all'esterno della sua attività materiale di compilazione dei documenti e la mancanza di artifici e raggiri che concretizzassero il reato di truffa; precisa inoltre che non sarebbe configurabile nei suoi confronti il dolo specifico in ordine al reato di falsa fatturazione, essendosi limitata ad eseguire indicazioni del proprio datore di lavoro. Gli Ermellini, affermando che le censure mosse dalla lavoratrice si risolvono in valutazioni di fatto inammissibili in sede di legittimità poiché la valutazione operata dai giudici di merito appare esente da censure logico-giuridiche, accolgono però il motivo di ricorso relativo alla prescrizione, annullando senza rinvio la sentenza impugnata in quanto tutti i reati sono comunque prescritti  

Cassazione: le espressioni offensive nei confronti di un superiore non giustificano il licenziamento se episodiche

"Un comportamento, per quanto grave, se avente carattere episodico e se riconducibile ad un dipendente che mai aveva dato luogo a censure comportamentali, non può dar luogo ad un giudizio di 'particolare gravità'." E' quanto ribadito dalla Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 3042 dell'8 febbraio 2011, ha rigettato il ricorso di un datore di lavoro. Il caso preso in esame dalla Suprema Corte vede protagonista una lavoratrice licenziata per rientro non autorizzato in periodo di congedo, pronunzia di espressioni offensive nei confronti di un superiore e ricostruzione non veritiera dei fatti in sede di audizione e di deduzioni scritte. Nei primi due gradi di giudizio il Giudice del Lavoro prima, e la Corte d’Appello poi, riconoscevano l'illegittimità del licenziamento irrogato alla lavoratrice disponendo la reintegrazione nel posto di lavoro ed il risarcimento del danno, sulla base della non sussistenza della "particolare gravità" degli addebiti atteso che per l'episodicità dei comportamenti non poteva riscontrarsi tale connotazione. I Giudici di legittimità hanno confermato le precedenti pronunce precisando come la valutazione di merito, in quanto motivata e congruamente articolata, non è censurabile in sede di legittimità.

CANI ABBAIANO DI NOTTE:
CARCERE PER 4 PADRONI 

Linea dura, per usare un eufemismo, della Corte di Cassazione contro i proprietari di cani. In quattro sono stati infatti condannati a due mesi di carcere ciascuno, senza condizionale e senza attenuanti generiche, perché non impediscono ai loro cani di abbaiare di notte, svegliando l'intero vicinato. Bocciata dunque, dalla Suprema Corte, la linea difensiva dei padroni dei dieci 'amici dell'uomo' in questione che sostenevano che gli inquirenti andassero a svolgere delle indagini per capire quale cane abbaiava per primo spingendo gli altri ad emularlo. Innanzi alla Prima sezione penale della Cassazione, l'avvocato difensore dei quattro proprietari dei cani - denunciati per disturbo della quiete da numerosi abitanti di un quartiere di Nicosia (Caltanissetta) - ha chiesto l'assoluzione dei suoi clienti sostenendo che non era stato accertato «quale dei cani abbaiasse per primo facendo poi abbaiare tutti gli altri». I supremi giudici hanno ritenuto del tutto «irrilevante» questo tipo di approfondimento investigativo dal momento che poi, dopo il primo 'acutò lanciato dal cane pi— attivo, gli altri «abbaiavano tutti insieme» determinando una «forte intensit… di rumore» e uno «strepito comune». Quanto al fatto che il Tribunale di Nicosia in primo grado, e la Corte nissena in secondo, avessero negato le attenuanti e la sospensione condizionale della pena, la Cassazione - con la sentenza 4706 - spiega che giustamente tali benefici non sono stati concessi. «Gli strepiti dei cani - fanno presente i supremi giudici - potevano essere agevolmente attenuati, o senz'altro evitati dai relativi proprietari». Inoltre non si trattava di un occasionale latrato ma di un abbaiare connotato da «diffusività», per di più in ora notturna, che aveva determinato le proteste di numerose persone. Insomma la circostanza che i padroni - Santo G., Giuseppe C., Santo F. e Francesco A. P. - non siano intervenuti a tacitare i loro animali, pur rendendosi conto delle proteste dei vicini di casa, gli è costata la condanna 'direttà al carcere. Adesso i quattro condannati devono anche pagare le spese del processo in Cassazione e versare 500 euro ciascuno alla Cassa delle Ammende.

 

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