23 gennaio 2011

NOTIZIE GIURIDICHE

Cassazione: imprenditore non risponde di evasione fiscale se commercialista si assume dell'omesso pagamento IVA

 

Se il commercialista si assume la responsabilità della mancata dichiarazione l’imprenditore non risponde del reato di evasione fiscale. A dirlo è una sentenza della Suprema Corte, in particolare la n. 1806 depositata il 20 gennaio 2011. Secondo la ricostruzione della vicenda, dopo una sentenza di non luogo a procedersi nei confronti del rappresentante di un’azienda in quanto il suo commercialista si era assunto tutte le responsabilità dell’omessa presentazione e del versamento dell’Iva, la Procura generale ricorreva in cassazione sostenendo il vizio di motivazione della sentenza impugnata. Dal ricorso proposto dal pubblico ministero si legge infatti che la sentenza andava impugnata in quanto appariva “del tutto illogico che una persona in buona fede circa la mancata presentazione della dichiarazione annuale per più annualità non avesse consapevolezza quanto meno del mancato versamento dell’imposta dovuta, il cui ammontare si collocava ogni anno nell’ordine di alcune decine di migliaia di euro”. I giudici della terza sezione penale hanno però rigettato il ricorso spiegando che “il giudice dell’udienza preliminare ha preso in considerazione l’importo dell’imposta effettivamente evasa sulla base delle valutazioni compiute dalla Guardia di Finanza, con la conseguenza che non può dirsi illogica l’affermazione contenuta nella parte conclusiva della sentenza circa la mancanza di prova del superamento della soglia di punibilità; questa conclusione sarebbe da sola sufficiente per in considerare la decisione immune dai vizi logici prospettati dal ricorrente anche con riferimento al secondo profilo di ricorso”.

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Sezioni unite penali: circolare a bordo del veicolo sequestrato non è reato ma illecito amministrativo

Girare a bordo del veicolo sequestrato non è un reato ma un illecito amministrativo. Questa è la decisione della Corte di Cassazione che ha messo nero su bianco il principio nella sentenza n. 1963/11 con cui le Sezioni Unite Penali hanno risolto un contrasto giurisprudenziale basato su un concorso di norme (solo apparente) tra l’art. 334 del codice penale e l’art. 213 del Codice della Strada. Come hanno spiegato i giudici, mentre il primo articolo punisce, genericamente, chi sottrae o danneggia cose sottoposte a sequestro dall’autorità amministrativa, il secondo disciplina il sequestro precisando la sua natura amministrativa. Secondo i giudici delle Sezioni Unite, che hanno citato l’art. 9 della legge 689 del 1981 per risolvere l’apparente contrasto, in casi del genere è la norma speciale a dover essere applicata che, come nel caso di specie, prevede oltre ad una multa anche la sanzione accessoria della sospensione della patente. 

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Cassazione: CID non è piena prova in giudizio. Può essere liberamente apprezzato dal giudice

In materia di sinistri stradali, il CID non fa piena prova in giudizio ma la sua valutazione è rimessa al libero apprezzamento del giudice. È questo il principio contenuto nella sentenza n. 739 del 2011 con cui gli ermellini hanno rigettato il ricorso di una società la cui auto era stata coinvolta in un incidente. “Va ritenuto – hanno spiegato i giudici della terza sezione penale - che la dichiarazione confessoria, contenuta nel modulo di constatazione amichevole del sinistro (cosiddetto C.I.D.), resa dal responsabile del danno proprietario del veicolo assicurato e - come detto - litisconsorte necessario, non ha valore di piena prova nemmeno nei confronti del solo confitente, ma deve essere liberamente apprezzata dal giudice, dovendo trovare applicazione la norma di cui all'art. 2733, terzo comma, cod. civ., secondo la quale, in caso di litisconsorzio necessario, la confessione resa da alcuni soltanto dei litisconsorti è, per l'appunto, liberamente apprezzata dal giudice (Cass., 5.5.2006, n. 10311)”.

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Lavoro: donna cinese fa causa a datori di lavoro. Primo caso in Italia

Per la prima volta in Italia una lavoratrice cinese si è rivolta a un sindacato per denunciare di essere stata ingiustamente licenziata da una ditta gestita da suoi connazionali e presso cui lavorava. Il fatto è accaduto a Prato e ne ha dato notizia il quotidiano 'Il Tirreno' spiegando che si tratta del primo caso in Italia riguardante esponenti della comunita' cinese, ritenuta tradizionalmente chiusa su questi temi. La donna si era presentata in lacrime alla Cgil di Prato spiegando si aver lavorato da aprile ma di essere stata messa in regola solo il 29 luglio scorso con un contratto part time con un salario di 500 euro in busta paga ed una parte in nero. L'azienda aveva anche ricevuto un'ispezione. La donna era stata licenziata perchè aveva chiesto di assentarsi per un mese per tornare dalla sua famiglia e sottoporsi a cure mediche in base. Aveva anch esibito dei certificati rilasciati da un medico di Prato. La risposta dell'azienda era stata l'immediato licenziamento. Ora il sindacato avvierà la vertenza contro la ditta.