31 gennaio 2011

NOTIZIE GIURIDICHE

Sezioni Unite: se reato è prescritto il giudice civile non è vincolato a sentenza penale

 Con la sentenza n. 1768 del 26 gennaio 2011, le sezioni Unite civili hanno stabilito che in caso di prescrizione del reato, dichiarata con sentenza di non luogo a precedersi, il giudice civile non è vincolato al rispetto della sentenza penale, al contrario è solo la sentenza di assoluzione che ha efficacia extrapenale di giudicato nelle cause di risarcimento danni. Questo è il principio di diritto enunciato qualche giorno fa dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite, in quanto chiamata a risolvere un contrasto giurisprudenziale concernente il problema dell’efficacia vincolante o meno della sentenza penale nel giudizio di risarcimento del danno, nella ipotesi in cui l’imputato sia stato prosciolto per una causa estintiva del reato. Prima di arrivare alla sentenza delle Sezioni unite, è questo il contesto in cui si inserisce la vicenda: nel 1981, una donna moriva di parto e il ginecologo e l’ostetrica venivano sottoposti a procedimento penale per rispondere di omicidio colposo. In primo grado, il tribunale condannava il medico e assolveva l’ostetrica per insufficienza di prove. In secondo grado, il giudice di appello, nel precisare che entrambi i soggetti avevano concorso a cagionare il fatto (il medico nella misura del 60% e la donna per il restante 40%), dichiarava prescritto il reato e condannava gli imputati al risarcimento del danno. La cassazione confermava (con sent. n. 5665 1992) la sentenza di appello ad eccezione della domanda di risarcimento del danno dell’ostetrica, considerato che nei suoi confronti non era stata emessa condanna generica neanche in primo grado. Essendo questo l’esito del giudizio penale, i congiunti della vittima, dopo aver transato la lite con il ginecologo, convenivano innanzi al giudice civile l’ostetrica per il risarcimento del danno. Il tribunale di Latina riteneva la convenuta responsabile nella stessa misura già stabilita dal giudice penale (il 40%). La Corte di Appello di Roma, invece, (con sentenza impugnata in seguito per cassazione) riteneva non vincolante a statuizione del giudice penale e stabiliva la colpa concorrente della ostetrica nella misura del 10%. Su ricorso per cassazione, proposto per violazione del giudicato penale e dell’art. 652 del c.p.c., la terza sezione civile della Cote di cassazione, investita del ricorso e ravvisando un contrasto giurisprudenziale di legittimità, concernente gli effetti del giudicato penale nel giudizio civile di risarcimento del danno, rimetteva gli atti alle Sezioni unite civili le quali, dopo essere passate in rassegna dei vari orientamenti espressi dalla giurisprudenza e dalla dottrina, emettevano il seguente principio di diritto. “La disposizione - si legge dalla parte motiva della sentenza - di cui all’art. 652 c.p.p. (così come degli artt. 651, 653 e 654 del codice di rito penale) costituisce un’eccezione al principio dell’autonomia e della separazione dei giudizi penale e civile, in quanto tale soggetta ad un’interpretazione restrittiva e non applicabile in via analogica oltre i casi espressamente previsti. Ne consegue che la sola sentenza penale irrevocabile di assoluzione (per essere rimasto accertato che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima) pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni ed il risarcimento del danno, mentre alle sentenze di non doversi procedere perché il reato è estinto per prescrizione o per amnistia non va riconosciuta efficacia extrapenale, benché, per giungere a tale conclusione, il giudice abbia accertato e valutato il fatto (…). In quest’ultimo caso, il giudice civile, pur tenendo conto degli elementi acquisiti in sede penale, deve interamente ed autonomamente rivalutare il fatto in contestazione” potendo ripartire la responsabilità in modo diverso rispetto a quello stabilito dal giudice penale

PER IL MONDO DEL LAVORO

Responsabile del servizio di prevenzione e protezione: imputabile di omicidio colposo, insieme al datore, per omessa segnalazione dei fattori di rischio

 Può profilarsi una responsabilità concorrente del responsabile del servizio di prevenzione e protezione nell'azienda per l'omessa segnalazione dei fattori di rischio e la mancata elaborazione delle procedure di sicurezza e di formazione/informazione dei lavoratori benché lo stesso non sia titolare di alcuna posizione di garanzia rispetto all'osservanza della normativa antinfortunistica, di cui è invece titolare il datore di lavoro. E' quanto emerge dalla sentenza n. 2814 del 27 gennaio 2011 con la quale la Corte di Cassazione ha affermato la possibilità di condanna per il reato di omicidio colposo a carico del Rspp, laddove l'incidente mortale del lavoratore si sia verificato per evidenti carenze dell'apparato prevenzionale e per l'utilizzo di metodi di lavoro pericolosi e non segnalati dal responsabile del servizio di prevenzione e protezione.

 

28 gennaio 2011

NOTIZIE GIURIDICHE

Cassazione: anche se con poche telefonate, si al reato di molestie. Importante è dolo generico del molestatore.

Integra il reato di molestie il comportamento del soggetto che arreca disturbo o molesta una donna con telefonate a sfondo erotico, anche se le telefonate stesse sono poche. La prima Sezione penale della Corte di cassazione ha infatti precisato che nonostante le telefonate effettuate dal molestatore non siano state numerose, il reato di cui all’art. 660 del codice penale si perfeziona lo stesso in quanto è sufficiente il dolo generico dell’agente, inteso come coscienza e volontà di arrecare molestie o disturbo alla persona offesa. Secondo la ricostruzione della vicenda, dopo la condanna al pagamento di 160 euro a titolo di ammenda in primo grado, l’uomo proponeva appello ma trattandosi di sentenza non appellabile ma solo ricorribile ai sensi dell’art. 593 c.p.p. co. 3 (“Sono inappellabili le sentenze di condanna per le quali è stata applicata la sola pena dell’ammenda”), la Corte d’Appello di Salerno trasmetteva gli atti al Palazzaccio (ex art.568 c.p.p., co. 5, c.p.p.) per il giudizio di legittimità. In questa sede, la difesa, sosteneva tra i tanti motivi, la mancanza dell’elemento soggettivo del reato e il fatto che le chiamate in uscita dal cellulare dell’imputato non fossero “numerose”, come precisava la sentenza di condanna, in quanto solo alcune di esse erano state provate. Investita della questione, la prima sezione penale di Piazza Cavour con la sentenza n. 1838 depositata il 21 gennaio 2011, nel respingere il ricorso dell’imputato-molestatore telefonico in quanto ritenuto infondato, ha spiegato in poche righe che il reato previsto dall’art. 660 del codice penale, “può ben essere integrato da poche telefonate disturbatrici ma concentrate nel tempo, specialmente laddove esse rivelino un contenuto particolarmente odioso, come di certo quelle attribuite all’imputato”. La Corte ha poi concluso precisando che, per potersi configurare l’illecito è inoltre sufficiente “il dolo generico, che risiede nella volontà e nella consapevolezza di arrecare disturbo alla parte offesa: la petulanza e il biasimevole motivo delle telefonate disturbatrici costituiscono elementi che confluiscono in quelli oggettivi della fattispecie, restando irrilevanti gli eventuali motivi personali (cfr. Cass. pen. Sez. 1°, n. 7051 in data 30.04.1998)”

NOTIZIE GIURIDICHE

Cassazione: il datore di lavoro non è esente da responsabilità per i danni causati ai dipendenti dai propri macchinari

Con la sentenza n. 1226 del 18 gennaio 2011 la Corte di Cassazione conferma il coinvolgimento del datore di lavoro nella responsabilità del danno causato a un dipendente dal macchinario usato nello svolgimento delle proprie mansioni. Anche se le apparecchiature sono dotate del marchio di conformità CE è affidata al datore di lavoro la responsabilità di accertarsi se esse siano in possesso di tutti i requisiti di legge relativi alla sicurezza dei dipendenti. E' il caso di un incidente occorso a un lavoratore nel pulire una macchina monoblocco priva di copertura nell'area di riavvolgimento del filo: pur utilizzando il guanto di protezione, la mano dell'operaio si è incastrata nel macchinario, procurando la frattura di un dito. Il Tribunale di Milano aveva quindi condannato il datore di lavoro a una multa di 300 euro per non aver fornito al lavoratore le necessarie istruzioni d'uso e per l'imprudenza di aver messo a disposizione dei dipendenti un macchinario con difetto. La Corte d'Appello aveva poi confermato la decisione, rigettando le argomentazioni di buona fede dell'imputato e di anomalia della macchina in fase di costruzione. Afferma la Suprema Corte: "(...) Il datore di lavoro deve ispirare la sua condotta alle acquisizioni della migliore scienza ed esperienza per fare in modo che il lavoratore sia posto nelle condizioni di operare con assoluta sicurezza. Pertanto, non sarebbe sufficiente, per mandare esente da responsabilità il datore di lavoro, che non abbia assolto appieno il suddetto obbligo cautelare neppure che una macchina sia munita degli accorgimenti previsti dalla legge in un certo momento storico, se il processo tecnologico sia cresciuto in modo tale da suggerire ulteriori e più sofisticati presidi per rendere la stessa sempre più sicura.". Quanto alla formazione del dipendente, inoltre: "il datore di lavoro ha il preciso dovere non di limitarsi ad assolvere normalmente il compito di informare i lavoratori sulle norme antinfortunistiche previste, ma deve attivarsi e controllare sino alla pedanteria, che tali norme siano assimilate dai lavoratori nella ordinaria prassi di lavoro".

NOTIZIE GIURIDICHE

È una tassa la prestazione pecuniaria da pagare a Consiglio dell’ordine degli avvocati

Con la sentenza n. 1782 depositata il 26 gennaio 2010 le sezioni unite civili della Corte di cassazione hanno stabilito che la prestazione pecuniaria necessaria per l’iscrizione al Consiglio dell’Ordine degli avvocati è una “tassa” e pertanto tutte le controversie concernenti i contributi da versare al Consiglio dell’Ordine o al Consiglio Nazionale Forense devono essere devolute al giudice tributario. Adite in seguito alla proposizione del regolamento preventivo di giurisdizione di cui all’art. 41 c.p.c., le Sezioni Unite Civili della Corte di cassazione hanno stabilito che nonostante l’art. 14, d. lgs. n. 382 del 1944 definisca come “contributo” la prestazione dovuta dagli iscritti nell’albo per le spese del funzionamento del Consiglio (Nazionale Forense), questa denominazione è irrilevante per stabilire la natura tributaria della prestazione che è invece una “tassa”. Inoltre l’art. 7, co. 2, dello stesso decreto legislativo n. 382/1944, prevede che “il Consiglio (dell’Ordine) può, entro i limiti strettamente necessari a coprire le spese dell’ordine o collegio, stabilire una tassa annuale, una tassa per l’iscrizione nel registro dei praticanti e per l’iscrizione nell’albo, nonché una tassa per il rilascio di certificati e dei pareri per la liquidazione degli onorari. Il sistema normativo riconosce, in questa prospettiva, all’ente “Consiglio”, una potestà impositiva rispetto ad una prestazione che l’iscritto deve assolvere obbligatoriamente, non avendo alcune possibilità di scegliere se versare o meno la tassa (annuale e/o di iscrizione nell’albo), al pagamento della quale è condizionata la propria appartenenza dell’ordine. Siffatta “tassa” si configura come una “quota associativa” rispetto ad un ente ad appartenenza necessaria, in quanto l’iscrizione all’albo è conditio sine qua non per il rilascio legittimo esercizio delle professione”. Le Sezioni unite civili, hanno infine illustrato i due elementi che caratterizzano il tributo: la doverosità della prestazione (chi intenda esercitare una delle professioni per le quali è prevista l’iscrizione ad uno specifico albo, deve provvedere ad iscriversi sopportandone il relativo costo, tassa di iscrizione e la tassa annuale, il cui importo non è commisurato al costo del servizio reso od al valore della prestazione rogata, bensì alle spese necessarie al funzionamento dell’ente, al di fuori di un rapporto sinallagmatico con l’iscritto) e la “natura tributaria” della prestazione (il collegamento della prestazione imposta alla spesa pubblica riferita a un presupposto economicamente rilevante. Il presupposto, nella specie, è costituito dal legittimo esercizio in un determinato albo. La spesa pubblica è quella relativa alla provvista dei mezzi finanziari necessari all’ente delegato dall’ordinamento al controllo dell’albo specifico nell’esercizio della funzione pubblica di tutela dei cittadini potenziali fruitori delle prestazioni professionali degli iscritti circa la legittimazione di quest’ultimi alle predette prestazioni)

27 gennaio 2011

NOTIZIE GIURIDICHE

Classi numerose, vittoria Codacons per risarcimento danno esistenziale

 

E’ la prima vittoria contro la Pubblica Amministrazione in Italia, tramite l’azione collettiva della class action. E’ la stessa Codacons , che aveva dato il via all’azione, che comunica la notizia, dopo la sentenza del Tar del Lazio (n° 552/2011). La Codacons, infatti, aveva proposto un’azione collettiva contro il Ministero dell’Istruzione, per richiedere un risarcimento a favore delle famiglie che avevano mandato i figli in classi numerose e sovraffollate, cioè al di là dei limiti normativi previsti. Il Tar ha accolto il ricorso, concedendo al Ministero un lasso di tempo di 120 giorni, per approntare un piano di edilizia scolastica e organizzativo, tale da risolvere il problema delle cosiddette classi “pollaio”. La Codacons aveva richiesto 2500 euro per famiglia, argomentando del danno esistenziale che tale sovraffollamento avrebbe procurato ai ragazzi coinvolti in tali aule. Secondo l’associazione in difesa dei consumatori sarebbero gli stessi insegnanti a subire un danno. Inoltre, sarebbero a rischio sovraffollamento ben 12000 classi, il 28% del totale. La questione è destinata senz’altro a proseguire e non risolversi con questa sentenza. Difficile che il risarcimento possa avere attuazione, anche in considerazione dell’enorme numero di persone coinvolte nel caso e dalla quasi impossibilità pratica di dimostrare i requisiti richiesti per ottenere il risarcimento. Ma la questione sollevata, per lo meno, ha il merito di accendere i fari su un problema molto italiano.

NOTIZIE GIURIDICHE

Assistenza al familiare disabile: permessi retribuiti anche in caso di lontananza

La sentenza del Tar Puglia-Bari n. 63 del 14 gennaio 2011 si pronuncia in materia di fruibilità da parte del lavoratore dei permessi mensili retribuiti previsti dall'art. 33 della legge 104 del 1992. La legge prevedeva che colui che assiste una persona con handicap in situazione di gravità -parente o affine entro il terzo grado, convivente- ha diritto a tre giorni di permesso mensile, fruibili anche in maniera continuativa a condizione che la persona con handicap in situazione di gravità non sia ricoverata a tempo pieno. La normativa in proposito prevedeva inoltre che il genitore o il familiare lavoratore con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado, e che sia con lui convivente, ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede. L'inciso "con lui convivente", inizialmente presente nel testo dell'articolo 33, è stato poi soppresso dall'art. 19 della legge 53 del 2000. Secondo la circolare INPS n. 90 del 23 maggio 2007 il requisito della continuità non coincide con l'assistenza quotidiana, ma è sufficiente che tale assistenza si svolga secondo criteri di sistematicità e adeguatezza, che non si escludono in caso di lontananza del dipendente dalla sede del disabile. Quindi la distanza non può essere considerata elemento risolutivo per la mancata concessione del beneficio. Secondo i giudici il valore dell'autorganizzazione dell'amministrazione (nel caso di specie la Guardia di Finanza) e quello della tutela della salute (art. 32 Cost.) devono essere bilanciati, rimanendo preminente il diritto alla salute della persona assistita. Siffatta disciplina deve quindi essere estesa anche ai dipendenti della Guardia di Finanza: in caso contrario si verificherebbe una situazione discriminante per tale categoria di lavoratori. Premesso ciò, il TAR si è pronunciato favorevolmente nei confronti della richiesta del dipendente della Guardia di finanza di usufruire dei tre giorni di permesso mensile finalizzati all'assistenza del familiare.

25 gennaio 2011

24 gennaio 2011

Velletri e dintorni


Via borgia questa mattina , come anche in altre via il cedimento del sottosuolo provoca queti problemi , per non parlare delle strade cittadine un vero colabrodo al quale il porvi rimedio attappando le stesse , non risolverebbe il problema , velletri ha bisogno di qualcosa di più concreto

23 gennaio 2011

NOTIZIE GIURIDICHE

Cassazione: imprenditore non risponde di evasione fiscale se commercialista si assume dell'omesso pagamento IVA

 

Se il commercialista si assume la responsabilità della mancata dichiarazione l’imprenditore non risponde del reato di evasione fiscale. A dirlo è una sentenza della Suprema Corte, in particolare la n. 1806 depositata il 20 gennaio 2011. Secondo la ricostruzione della vicenda, dopo una sentenza di non luogo a procedersi nei confronti del rappresentante di un’azienda in quanto il suo commercialista si era assunto tutte le responsabilità dell’omessa presentazione e del versamento dell’Iva, la Procura generale ricorreva in cassazione sostenendo il vizio di motivazione della sentenza impugnata. Dal ricorso proposto dal pubblico ministero si legge infatti che la sentenza andava impugnata in quanto appariva “del tutto illogico che una persona in buona fede circa la mancata presentazione della dichiarazione annuale per più annualità non avesse consapevolezza quanto meno del mancato versamento dell’imposta dovuta, il cui ammontare si collocava ogni anno nell’ordine di alcune decine di migliaia di euro”. I giudici della terza sezione penale hanno però rigettato il ricorso spiegando che “il giudice dell’udienza preliminare ha preso in considerazione l’importo dell’imposta effettivamente evasa sulla base delle valutazioni compiute dalla Guardia di Finanza, con la conseguenza che non può dirsi illogica l’affermazione contenuta nella parte conclusiva della sentenza circa la mancanza di prova del superamento della soglia di punibilità; questa conclusione sarebbe da sola sufficiente per in considerare la decisione immune dai vizi logici prospettati dal ricorrente anche con riferimento al secondo profilo di ricorso”.

NOTIZIE GIURIDICHE

Sezioni unite penali: circolare a bordo del veicolo sequestrato non è reato ma illecito amministrativo

Girare a bordo del veicolo sequestrato non è un reato ma un illecito amministrativo. Questa è la decisione della Corte di Cassazione che ha messo nero su bianco il principio nella sentenza n. 1963/11 con cui le Sezioni Unite Penali hanno risolto un contrasto giurisprudenziale basato su un concorso di norme (solo apparente) tra l’art. 334 del codice penale e l’art. 213 del Codice della Strada. Come hanno spiegato i giudici, mentre il primo articolo punisce, genericamente, chi sottrae o danneggia cose sottoposte a sequestro dall’autorità amministrativa, il secondo disciplina il sequestro precisando la sua natura amministrativa. Secondo i giudici delle Sezioni Unite, che hanno citato l’art. 9 della legge 689 del 1981 per risolvere l’apparente contrasto, in casi del genere è la norma speciale a dover essere applicata che, come nel caso di specie, prevede oltre ad una multa anche la sanzione accessoria della sospensione della patente. 

NOTIZIE GIURIDICHE













Cassazione: CID non è piena prova in giudizio. Può essere liberamente apprezzato dal giudice

In materia di sinistri stradali, il CID non fa piena prova in giudizio ma la sua valutazione è rimessa al libero apprezzamento del giudice. È questo il principio contenuto nella sentenza n. 739 del 2011 con cui gli ermellini hanno rigettato il ricorso di una società la cui auto era stata coinvolta in un incidente. “Va ritenuto – hanno spiegato i giudici della terza sezione penale - che la dichiarazione confessoria, contenuta nel modulo di constatazione amichevole del sinistro (cosiddetto C.I.D.), resa dal responsabile del danno proprietario del veicolo assicurato e - come detto - litisconsorte necessario, non ha valore di piena prova nemmeno nei confronti del solo confitente, ma deve essere liberamente apprezzata dal giudice, dovendo trovare applicazione la norma di cui all'art. 2733, terzo comma, cod. civ., secondo la quale, in caso di litisconsorzio necessario, la confessione resa da alcuni soltanto dei litisconsorti è, per l'appunto, liberamente apprezzata dal giudice (Cass., 5.5.2006, n. 10311)”.

NOTIZIE GIURIDICHE

Lavoro: donna cinese fa causa a datori di lavoro. Primo caso in Italia

Per la prima volta in Italia una lavoratrice cinese si è rivolta a un sindacato per denunciare di essere stata ingiustamente licenziata da una ditta gestita da suoi connazionali e presso cui lavorava. Il fatto è accaduto a Prato e ne ha dato notizia il quotidiano 'Il Tirreno' spiegando che si tratta del primo caso in Italia riguardante esponenti della comunita' cinese, ritenuta tradizionalmente chiusa su questi temi. La donna si era presentata in lacrime alla Cgil di Prato spiegando si aver lavorato da aprile ma di essere stata messa in regola solo il 29 luglio scorso con un contratto part time con un salario di 500 euro in busta paga ed una parte in nero. L'azienda aveva anche ricevuto un'ispezione. La donna era stata licenziata perchè aveva chiesto di assentarsi per un mese per tornare dalla sua famiglia e sottoporsi a cure mediche in base. Aveva anch esibito dei certificati rilasciati da un medico di Prato. La risposta dell'azienda era stata l'immediato licenziamento. Ora il sindacato avvierà la vertenza contro la ditta.

21 gennaio 2011

Notizie giuridiche

Cassazione: no ai rumori “tollerabili” ma insostenibili per il vicino

Anche se le immissioni sonore rispettano il limite previsto dai regolamenti, potrebbero non essere lecite sotto il profilo civilistico. La soglia di tollerabilità dei rumori deve infatti essere letta insieme al principi di cui all’articolo 844 cc, norma che impone di contemperare le ragioni delle attività produttive con quelle della proprietà. Nel caso di specie, un avvocato, stanco di un condizionatore posizionato al confine tra l’appartamento dello stesso e un negozio, si era visto rigettare il suo ricorso, in primo e in secondo grado. Con la sentenza n. 939 del 2011 i giudici della Corte di Cassazione hanno spiegato invece che, pur rispettando la soglia della tollerabilità, le immissioni sonore potrebbero infatti non essere lecite: “mentre è senz’altro illecito - (Cass. 1418706) - il superamento dei limiti di accettabilità stabiliti dalle leggi e dai regolamenti che, disciplinando le attività produttive, fissano nell’interesse della collettività le modalità di rilevamento dei rumori e i limiti massimi di tollerabilità, l’eventuale rispetto degli stessi non può far considerare senz’altro lecite le immissioni, dovendo il giudizio sulla loro tollerabilità formularsi alla stregua di cui all’art. 844 c.c.” “Tale principio, - hanno continuato i giudici della seconda sezione civile - nella sua prima parte, si basa sull’evidente considerazione che, se le emissioni acustiche superano, per la loro particolare intensità e capacità diffusiva, la soglia di accettabilità prevista dalla normativa speciale a tutela di interessi della collettività, così pregiudicando la quiete pubblica, a maggior ragione le stesse, ove si risolvano in immissioni nell’ambito della proprietà del vicino, ancor più esposto degli altri, in ragione della vicinanza, ai loro effetti dannosi, devono per ciò solo considerarsi intollerabili ai sensi dell’art. 844 c.c. e pertanto illecite anche sotto il profilo civilistico. Tanto non è stato considerato dal giudice di merito, che pur avendo rilevato che al livello dei locali a piano terra dell’immobile erano percepibili emanazioni sonore eccedenti la soglia legale di accettabilità, ne ha escluso l’intollerabilità ex art. 844 c.c. , non tenendo conto che, pur nel “tempo strettamente necessario al loro utilizzo” (…), chi si trovasse in tali ambienti, sarebbe stato comunque esposto a rumori che, per presunzione normativa, devono comunque ritenersi nocivi per le persone, così finendo con il disattendere anche l’altro principio, ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, nel conflitto tra esigenze della produzione, pur contemplate dall’art. 844 c. c. ed il diritto alla salute, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma civilistica deve attribuire necessaria prevalenza al secondo, dovendo il limite della relativa tutela ritenersi intrinseco all’attività produttiva”.

Notizie giuridiche

Il datore di lavoro costringe i lavoratori ad accettare trattamenti retributivi non adeguati alle prestazioni? E’ estorsione 

"Integra il delitto di estorsione la condotta del datore di lavoro che, approfittando della situazione del mercato di lavoro a lui favorevole per la prevalenza dell'offerta sulla domanda, costringa i lavoratori, con la minaccia larvata di licenziamento, ad accettare la corresponsione di trattamenti retributivi deteriori e non adeguati alle prestazioni effettuate, e più in generale condizioni di lavoro contrarie alle leggi ed ai contratti collettivi". E' quanto affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza 1284 del 18 gennaio 2011; con la pronuncia la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso di un datore di lavoro che riteneva non ravvisabili gli estremi del reato di estorsione mancando, a suo dire, l'elemento materiale della minaccia e, quindi, lo stato di soggezione delle parti offese. La Suprema Corte, ritenendo corretta ed adeguata la decisione dei giudici di merito, precisa che "la Corte territoriale non solo ha ben chiarito in punto di fatto che il contegno e le espressioni reiteratamente adoperate avevano un'indubbia e specifica valenza intimidatoria e coartativa, ma ha anche ribattuto all'obiezione secondo la quale le lavoratrici non potevano sentirsi minacciate atteso che si erano rivolte al giudice del lavoro ed al sindacato, osservando correttamente che 'per configurarsi il reato di estorsione è sufficiente che la minaccia sia tale da incutere una coercizione dell'altrui volontà ed a nulla rileva che si verifichi un'effettiva intimidazione del soggetto passivo' […] sicché diventa del tutto irrilevante che le parti offese, in seguito, si siano rivolte al giudice del lavoro per ottenere le proprie spettanze."

RIFIUTI QUESTI CONOSCIUTI



Buongiorno , queste sono le  cartoline del 21 /05/2011 ore 07:30 via sole e luna tanto per rendersi conto di chi vive a velletri e fa finta di non viverci , le altre foto sono  ridosso della centrale elettrica (ponte di mele )


ma non era vietato attacare i manifesti sulle campane ?
Non doveva esserci decoro pubblico?
Ma i secchioni non devono contenere i rifiuti ?
Perchè sono a terra e lo scolo  le fa finire nel canale sottostante ?
Ma che c'è qualche cosa che non và per caso ?
Quanti interrogativi dovrebbero porsi gli amministratori , e certi cittadini .......................


Lo sapevate che .....!

Ma com'è la situazione dei rifiuti a velletri ?
In certi casi e sempre meglio non abbassare mai la guardia , perché quando e il momento di pagare la tassa sui rifiuti i comuni sono sempre pronti a crocifiggerti , ma quando sei tu a far presente l'instostenibile leggerezza dell'essere , ti abbandonano , sempre e comunque .Ma la discarica dove vengono portati i rifiuti di velletri in che condizione è , come procede l'amministrazione comunale in questo senso ?
quali incognite stanno per presentarci ?
Possiamo stare tranquilli oppure dobbiamo incominciare a preoccuparci ?
Rifiuti, procuratore Velletri denuncia: società smaltimento spregiudicate.
Audizione della commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti. Ascoltati i rappresentanti istituzionali, il 23 anche la Polverini«Il problema dei rifiuti è legato soprattutto alla gestione del ciclo da parte dei Comuni della zona che si affidano a società il più delle volte un po’ spregiudicate e che non sempre seguono con attenzione gli attuali regolamenti». E’ la denuncia del procuratore della Repubblica di Velletri Silverio Piro nel corso dell’audizione alla commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite legate al ciclo dei rifiuti. «I procedimenti penali che noi seguiamo riguardano soprattutto le società che nel tempo si sono completamente disinteressate della necessità di salvaguardare l’ambiente privilegiando invece il loro commercio e soprattutto lo smaltimento dei rifiuti in modo del tutto irregolare – ha spiegato Piro – Sono procedimenti che parlano da soli soprattutto quando si fa riferimento al disastro ambientale della Valle del Sacco, dove si sono trovati degli indici di inquinamento veramente elevati e dove si sono verificate tutta una serie di responsabilità di amministratori e società coinvolte nello smaltimento dei rifiuti».
«Abbiamo trovato una metodica contraffazione dei codici Cer (Catalogo europeo rifiuti) da parte di alcune società nel trasportare rifiuti che in realtà non potevano essere trasportati per consentirne l’occultamento e la distruzione. In questo caso si tratta di una società di Anzio, la Trasporti Ambiente», ha detto ancora Piro. «Un altro procedimento riguarda una bonifica ambientale da parte del comune di Pomezia – ha proseguito Piro – che ha visto diversi indagati e misure cautelari personali a carico di amministratori e in cui si sono verificate anche delle ipotesi di corruzione».
Questo ha generato un malumore istituzionale nei confronti della Regione Lazio».
Cerroni manlio il re di malagrotta e di roma dichiara : infinita la lista dei Comuni che non pagano. «Noi per il servizio che facciamo trasmettiamo fatture che non vengono pagate. C’è una lista infinita di comuni che non pagano». Lo ha detto il presidente della Co.la.ri., Manlio Cerroni, a margine dell’audizione nella commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo di rifiuti nel Lazio. «Roma ha avuto un problema da sistemare che si riferisce al passato e adesso si difende – ha spiegato Cerroni – Con Pomezia invece ci sono grosse difficoltà». Nel corso dell’audizione uno dei componenti della commissione parlamentare ha chiesto al presidente della Co.la.ri: «perchè c’è sempre lei nell’impiantistica laziale?». A questa domanda Cerroni ha risposto: «perchè quando negli anni ‘50-’60 facevamo questo mestiere, quelli che “facevano monnezza” neanche la moglie trovavano. Mi fanno sempre questa domanda ma la domanda che mi dovreste fare è: “da quando fa questo mestiere?” Dal ‘46».
Comunque a scanso di equivoci e fraintendimenti vari , gettate sempre  uno sguardo  al comune , non si sa mai meglio satre in guardia , si sa dei politici meglio non fidarsi mai





20 gennaio 2011

RIFIUTI QUESTI CONOSCIUTI

Vi siete chiesti quanto costa ad un'azienda il costo di ogni bottiglia di plastica ?
E noi quanto paghiamo il prodotto che compriamo ?
E quante volte lo paghiamo una volta esaurito il prodotto ?
Bhè semplice tre volte o addirittura quattro volte , come ?
La ditta che lo produce, lo produce per una azienda , che si rifà sul consumatore finale , che una volta utilizzato se lo ritrova in bolletta ( tarsu ) , e il conto e fatto la plastica e un derivato del petrolio e perciò a un costo , quel costo viene fatto pagare al consumatore tre volte :il trasporto , il consumatore lo compra e gli viene affibbiato un'altro costo , e quando finisce di consumarlo lo getta ne rifiuti e perciò nella bolletta  dei rifiuti .

Punti vendita di detersivi sfusi alla spina a Velletri (RM), Via Di Ponente, 191 - Wash Maps


Provate e fate provare al comune di velletri come chi utilizza questo sistema a ridurre la bolletta dei rifiuti , così da combattere il consumismo , e l'inquinamento semplice no!





L'ALTRA VELLETRI



Buongiorno succede anche questo a velletri , ma succede anche in altri comuni , in queste evidenti foto si possono vedere gli effetti di una inciviltà diffusa quella di sbarazzarsi di rifiuti anche elettronici , che vanno ad accumularsi nel calderone della discarica invece di essere portati in un centro di raccolta specifico ( sempre che ci sia ).

Punti vendita di detersivi sfusi alla spina a Velletri (RM), Via Di Ponente, 191 - Wash Maps

Punti vendita di detersivi sfusi alla spina a Velletri (RM), Via Di Ponente, 191 - Wash Maps

Furti d’identità, come difendersi Attenti al vishing, truffa via sms.

Cellulari, internet e carte di credito sono nel mirino di banditi di nuova generazione. Ma arriva un libro che insegna come difendersi.

Squilla il cellulare, è appena arrivato un sms: «Ore 10.45, lunedì 15 gennaio  2011. Effettuata una spesa da 85 euro presso il centro commerciale...». È il rassicurante testo di un nuovo e utile servizio bancario che informa il titolare di una carta di credito o bancomat ogni volta che spende denaro elettronico. Bisogna preoccuparsi, però, se all'ora indicata voi non siete in un ipermercato, ma in ufficio a lavorare.
«È a questo punto che scatta la truffa» spiega il colonnello Umberto Rapetto, comandante del Nucleo speciale frodi telematiche della Guardia di finanza. «Si viene presi dal panico e si cade nella trappola dei cybercriminali. Già perché molti di questi messaggini non vengono mandati dall'istituto di credito, ma dai furbetti del telefonino.

Di norma bisognerebbe chiamare la banca e far disattivare la carta» prosegue l'ufficiale «ma spesso si continua nella lettura del messaggio truffaldino che indica in calce un numero da chiamare. Timorose di vedere il conto prosciugato le vittime pigiano il tasto verde del cellulare e chiamano il numero farlocco. Risultato? Risponde una voce elettronica che ha un costo fisso di 15 euro alla risposta.
Dopo pochi istanti cade la linea e lo sprovveduto truffato richiama, perdendo in pochi minuti anche centinaia di euro. Oppure risponde un call center» prosegue Rapetto «che chiede di digitare sulla tastiera il numero di carta da bloccare, data di scadenza e il codice di 3 cifre scritto sul retro della plastic card».

Non è ancora stato ben diffuso un utile sistema per evitare la clonazione della carta che già qualcuno ha trovato un modo per guadagnarci a scrocco. Per difendersi da raggiri di questo tipo il colonnello, che oltre a dare la caccia ai cybercriminali insegna in vari atenei, ha scritto il libro Truffe.com insieme con la moglie giornalista Maria Teresa Lamberti. Il manuale racconta in dettaglio decine di frodi telematiche, con esempi e «con i suggerimenti per non abboccare e sopravvivere agli imbrogli» spiega la coautrice Lamberti.
La truffa sopra raccontata va sotto il nome di «vishing», procedura che inganna con la voce di un risponditore automatico e sostituisce con una V (che sta per voice, voce) le prime due lettere dell'ormai noto «phishing», che vuol dire pescare sprovveduti via internet a cui carpire informazioni riservate.

Celati nell'ombra i nuovi cybercriminali vogliono tutti la stessa cosa: le 16 cifre della carta di credito, la data di scadenza e il codice segreto. Oppure i dati del bancomat. Ma quali e quanti sono i nuovi pericoli a cui andiamo incontro? «Ora dilagano i lettori di carte e bancomat taroccati» avverte Lamberti. «Quelli che sono stati modificati con uno skimmer» (dall'inglese skim, che vuol dire leggere velocemente). All'apparenza sembrano normali ma al loro interno hanno un rudimentale ma efficace agente segreto.
«Quando si inserisce la carta lo skimmer legge i dati della banda magnetica e li memorizza. Cosa che avviene anche quando si digita il codice» prosegue il colonnello Rapetto. «Poi i dati così illegalmente acquisiti vengono spediti via sms ai malfattori tramite un cellulare nascosto sotto la tastiera del dispositivo contraffatto.

Chi riceve l'sms è in grado di preparare una carta assolutamente identica a quella del reale titolare. E di utilizzarla per acquisti illegali. La cosa grave» aggiunge l'ufficiale «è che lo schema elettronico di questi apparecchi è facilmente reperibile in un'infinità di siti web che spiegano come realizzare trucchetti del genere».
Per truffe del genere ci vuole una ben organizzata struttura criminale. Gente in grado di sostituire gli apparecchi che le cassiere usano nei supermercati e di modificare i distributori pos. Ma bisogna stare attenti anche a quei ristoranti che portano al tavolo un lettore di carte senza fili.


Un lettore di carte bancomat truccato da una gang di romeni. Era in grado di leggere le bande magnetiche e il codice pin che poi inviava, in automatico e con un sms, ai malfattori.
Sembra una procedura che dovrebbe aumentare la sicurezza (non bisogna infatti affidare la carta a uno sconosciuto cameriere), «ma se all'esterno del ristorante in auto c'è un malfattore con un computer portatile e un'antenna, è anche possibile che i dati vengano trafugati nel momento stesso in cui il cliente li digita».
Per entrare in possesso dei numeri delle carte i nuovi criminali ricorrono a stratagemmi sempre nuovi. Alcuni rudimentali, ma efficaci. Trucchi che vengono battezzati da una nuova parola inglese che quasi sempre finisce con le tre lettere «ing». I due nuovi termini: «boxing» e «trashing». Il primo «ha la sua radice nella parola box, scatola, che è spesso usata anche nell'accezione di casella postale» racconta Lamberti.

«Mail box è la cassetta delle lettere. La truffa indicata come boxing consiste nell'entrare in possesso di certe informazioni impadronendosi dell'estratto conto del titolare della carta o di altre comunicazioni che gli sono state inviate a proposito delle operazioni eseguite con la stessa».
Il criminale dunque viola la segretezza della corrispondenza e il suo obiettivo principale in questa fase è la casella della posta della sua vittima. In realtà non deve rubare le lettere, ma può «accontentarsi» di aprirle, ricopiare i dati che lo interessano, richiuderle e rimetterle al loro posto.

Un altro metodo (simile per il modo in cui i dati vengono sottratti, ma diverso rispetto ai tempi di recapito e lettura della posta) è quello del trashing. Poiché trash significa immondizia, è facile capire che «l'operazione consiste nel rovistare nella spazzatura» aggiunge Rapetto «cercando estratti conto, comunicazioni personali, indicazioni pratiche, segnalazioni che la banca o il network delle carte di credito ha spedito all'interessato.
Tra i rifiuti, infatti, si possono recuperare scontrini, ricevute e altri tasselli utili a ricomporre quel puzzle che sono i dati della carta presa di mira.

Ma lo avete mai letto uno scontrino di una spesa effettuata con carta di credito?» chiede retoricamente il finanziere. «Beh, fatelo, perché ci sono scritte tutte le informazioni che servono per effettuare un acquisto online, dal biglietto del treno a quello aereo.
«Quindi un consiglio: non gettate mai lo scontrino nel cestino fuori del ristorante, ma custoditelo o distruggetelo. Gli addetti ai lavori citano addirittura il "dumpster diving", ossia una specie di sport criminale che prevede immersioni nei cassonetti della spazzatura per recuperare ogni genere di dati che si possono ricavare da oggetti o altri rifiuti».

Tra i furbetti del digitale c'è anche chi semplicemente vuole risparmiare sulla bolletta del cellulare. «In aiuto dei tecnocriminali viene la tecnologia bluetooth» spiega Rapetto «con un software e uno smartphone, ossia un cellulare con sistema operativo evoluto, si può telefonare addebitando la chiamata a uno sprovveduto che ha lasciato la funzione bluetooth accesa.
Basta fare "cerca dispositivo", funzione disponibile in quasi tutti i cellulari in commercio, per vedere in ufficio o sul treno Eurostar quanti hanno il cellulare aperto agli intrusi».

19 gennaio 2011

Questa e la pagina di oggi castelli datata 8 agosto 2009 indirizzata all'assessore di lazzaro siamo al 2011 da allora nessuna risposta in merito perchè?
Non ha avuto tempo ?
Non vuole rispondere ?
Oppure c'è altro ?
Oppure non sa rispondere !

Lo sapevate che .....!Malattia professionale: la responsabilità del datore di lavoro è di natura contrattuale

In presenza di una malattia professionale l'imprenditore è tenuto a provare di aver adottato, nel rispetto dell’art. 2087 c.c., "tutte le misure che, seconda la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro". E' quanto affermato dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 306 del 10 gennaio 2011 accogliendo il ricorso di un lavoratore che aveva visto accertare, dalla Corte d’Appello, la natura professionale della propria malattia ma non la domanda di condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno morale. Alla base della decisione dei giudici di merito veniva posta l'omissione da parte del lavoratore di allegazione della documentazione relativa alla violazione delle misure di prevenzione idonee ad evitare il danno da parte del datore di lavoro e il fatto che l'articolo 2087 c.c. non prevede una responsabilità oggettiva e non può risolversi in un obbligo assoluto di rispettare ogni cautela possibile. I Giudici di legittimità ritengono la sentenza della Corte d'Appello non rispettosa del dettato normativo e la cassano con rinvio ad altra Corte d'Appello per una nuova valutazione di merito, alla luce del criterio di ripartizione dell'onere della prova in forza del quale "incombe sul lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare l’esistenza di tale danno, come pure la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l'uno e l'altro elemento, mentre grava sul datore di lavoro l'onere di provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ovvero di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno medesimo".
Succede anche questo a velletri , lasciare biglietti sui parabrezza delle auto o come in questo caso di un furgone per esprimere tutta la propia insoddisfazione al propietario , che credo e spero si guardi bene dal perpetrare di nuovo tale azione , visto che anche l'autore del messaggio a le sue buone ragioni .

Furti d’identità, come difendersi

Un'osservatorio permanente sul furto d'identità, un fenomeno in notevole crescita negli ultimi anni, sia in Europa che negli Usa. E' la proposta dell'Adiconsum, l'associazione dei consumatori che, mediante un sondaggio, ha scattato una prima fotografia in grado di mettere a fuoco le dimensioni di questo tipo di reato nel nostro Paese, fornendo informazioni sui comportamenti dei consumatori e sul loro livello di conoscenza del problema.
Ma che cos'è il furto di identità e come possiamo difenderci? Ecco alcune informazioni utili.

Che cos'è Si ha un furto di identità ogni qualvolta un’informazione individuale, relativa ad una persona fisica o a un’azienda, è ottenuta in modo fraudolento da un criminale con l’intento di assumerne l’identità per compiere atti illeciti. Tali comportamenti sono da annoverare giuridicamente sotto il nome di “frode”. La frode di identità comprende reati quali l’apertura di conti correnti bancari, la richiesta di una nuova carta di credito o l’utilizzo dei dettagli personali della vittima nell’acquisto di beni, servizi o altri vantaggi finanziari.

Come avviene Il furto di identità può avvenire attraverso diverse modalità. In particolar modo, le informazioni personali delle vittime possono essere recuperate attraverso:
Bin raiding o trashing: attraverso estratti conto, bollette, vecchi contratti assicurativi, lettere personali, involucri di giornali spediti a casa, informazioni fiscali ecc. che sono state buttate nel cestino della spazzatura.
Inoltro della posta: successivamente ad un trasferimento di residenza, quando non si comunica la variazione dell’indirizzo alle Poste Italiane.
Skimming: nella clonazione di una carta di credito durante l’uso, attraverso un’apparecchiatura elettronica in un esercizio commerciale; può essere sufficiente per reperire i dati necessari ad utilizzare una carta senza rubare interamente l’identità della vittima.
Furto della borsa o del portafoglio: generalmente i portafogli e le borse contengono bancomat, carte di credito e documenti di identità come la patente di guida e le tessere di iscrizione a determinate associazioni.
Contatti indesiderati: attraverso chiamate telefoniche alla vittima, durante le quali i malviventi si spacciano per dipendenti della banca o dell’azienda con cui il soggetto intrattiene rapporti commerciali.
Telefonino: mediante la ricezione di messaggi (sms, email) che comunicano ad esempio la vincita di un telefonino di ultima generazione seguendo un link che porta ad un'azione di phishing finalizzata ad acquisire i dati personali.
Noi stessi: possiamo fornire incautamente delle informazioni che ci riguardano ad esempio conversando con un estraneo, dettando al telefono gli estremi della carta di credito per un acquisto effettuato telefonicamente ecc.
Siti internet: a tutti coloro che navigano in internet viene regolarmente richiesto di fornire informazioni personali per poter accedere a determinati siti e per poter acquistare beni. In molti casi queste informazioni viaggiano sulla rete in chiaro e non in modalità protetta.
Salvando le password sul pc: le password e le username utilizzate per accedere ai conti correnti online o ad altri siti che contengono informazioni personali possono essere memorizzate sul pc. In questi casi, chiunque abbia accesso al computer può entrare senza difficoltà nei siti protetti utilizzando le password salvate.
Phishing: questo termine identifica il furto via posta elettronica. Il malvivente invia un’e-mail dichiarando di essere un incaricato di una banca o di una compagnia di carte di credito o di appartenere ad altre organizzazioni con cui si possono avere rapporti inducendo a fornire informazioni personali con le più svariate motivazioni (per riscuotere premi in denaro, beni tecnologici, ripristinare password scadute, etc.). Generalmente l’e-mail chiede di utilizzare un link per accedere ai dettagli del conto della vittima presso il sito della compagnia, adducendo motivazioni di sicurezza, link che in realtà conduce in un sito web solo all’apparenza originale.
Blog, social network ecc.: un crescente numero di utenti sta fornendo un’elevata quantità di dati personali nei propri blog, siti chat, nei profili dei social network ecc.

Il furto di identità in Italia Nel 2006, nel nostro Paese, sono stati stimati oltre 17mila tentativi di frode creditizia, per un ammontare complessivo pari a circa 80 milioni di euro. Nel 93% dei casi le vittime non sono riuscite a denunciare l'autore della frode ma hanno sporto denuncia contro ignoti e l'importo medio dei casi denunciati è stato di 5.301 euro. La vittima ci mette in media 206 giorni per scoprire la frode creditizia mediante furto della privacy.
L'indagine di Adiconsum, realizzata con il sostegno di Fellowes Leonardi, ha esaminato un campione di 1325 persone fra i 18 e i 60 anni di entrambi i sessi e residenti su tutto il territorio nazionale. Circa un consumatore su quattro ha avuto esperienza diretta o indiretta (tramite familiari e conoscenti) del furto d’identità, soprattutto a causa di sottrazione o smarrimento di documenti e clonazione di carte di credito. Sembra essere abbastanza contenuto il numero di soggetti (15%) caduti nella trappola del phishing, anche se risulta sempre più in crescita la tecnica del reperimento fra i rifiuti di documenti personali, bancari o d'altro tipo (bollette, modelli fiscali ecc.) da cui estrarre dati anagrafici, numeri di carte di credito, firme e quant'altro consente di copiare il profilo della vittima. Il 55% degli intervistati, infatti, getta documenti contenenti dati sensibili senza distruggerli. A questo proposito, anche una rilevazione fatta l'anno scorso da Experian in collaborazione con l'amministrazione comunale di Schio (Vicenza) ha dimostrato come gli italiani gettino incautamente in pattumiera una gran quantità di documenti personali, bancari e commerciali che facilitano il compito dei ladri di identità. Nel 43% dei sacchi per la raccolta differenziata della carta presi in esame, infatti, erano stati trovati documenti riservati e con firme cestinati dai cittadini.
Le categorie maggiormente colpite sono i commercianti e i liberi professionisti. Questi ultimi, in particolare, sono più frequentemente vittime di clonazione di carte di credito, per il frequente uso che fanno di alcune tipologie di pagamento elettronico. I lavoratori dipendenti e gli studenti, invece, risultano maggiormente colpiti dal phishing. Il fenomeno del trashing, infine, è più diffuso al Sud rispetto al resto d'Italia. In generale i residenti del Centro Sud sono i più colpiti dal fenomeno del furto di identità;  il 49% degli intervistati lascia memorizzate le proprie password sul pc;  il 40% ancora non usa le carte prepagate per i propri acquisti online.
Nel nostro Paese, infine, il furto d'identità rimane una scoperta del consumatore, che si accorge di essere stato derubato attraverso la lettura degli estratti conto. Molto pochi i cittadini che hanno ricevuto segnalazioni dalla propria banca o società finanziaria.

Lo sapevate che .....! Mobbing Cassazione, in Italia manca una specifica figura incriminatrice per contrastare tale pratica persecutoria

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 685 del 13 gennaio 2011, ha affermato che "le pratiche persecutorie realizzate ai danni del lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione (c.d. mobbing) possono integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia esclusivamente nel caso in cui il rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente […] assuma natura para-familiare, in quanto caratterizzato da relazioni intense e abituali, da consuetudini di vita tra i detti soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell'altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia". Il principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte pone l'accento sulla mancanza nel nostro codice penale - nonostante una delibera del Consiglio d'Europa del 2000 che vincolava tutti gli Stati membri a dotarsi di una normativa corrispondente - di una specifica figura incriminatrice per contrastare il mobbing. I Giudici di legittimità, rigettando il ricorso di un'operaia, precisano però come in caso di mobbing è certamente percorribile la strada del procedimento civile, costituendo il mobbing titolo per il risarcimento del danno eventualmente patito dal lavoratore in conseguenza di condotte e atteggiamenti persecutori del datore di lavoro o del preposto. "Il legittimo esercizio del potere imprenditoriale, infatti, deve trovare un limite invalicabile nell'inviolabilità di tali diritti e nella imprescindibile esigenza di impedire comunque l'insorgenza o l'aggravamento di situazioni patologiche pregiudizievoli per la salute del lavoratore, assicurando allo stesso serenità e rispetto nella dinamica del rapporto lavorativo, anche di fronte a situazioni che impongano l'eventuale esercizio nei suoi confronti del potere direttivo o addirittura di quello disciplinare."

SPQV Senatus Populosque Veliternum: Lo sapevate che .....!

SPQV Senatus Populosque Veliternum: Lo sapevate che .....!: "Questo e il titolo che e più congeniale per informare e restare informati su tutto quello che ci può essere utile dalle informazioni di cara..."

Lo sapevate che .....!

Questo e il titolo che e più congeniale per informare e restare informati su tutto quello che ci può essere utile dalle informazioni di carattere legale ( multe relative hai parcheggi , oppure alle sentenze della cassazione in materia penale e civile ) e di carattere sociale cioè di interesse pubblico come ......questo primo titolo si chiama facebook il pericolo corre in rete
Facebook è stato fondato il 4 febbraio 2004 da Mark Zuckerberg, all'epoca studente diciannovenne presso l'università di Harvard. Il nome del sito si riferisce agli annuari (che si chiamano, appunto, "Facebook") con le foto di ogni singolo membro che alcuni college pubblicano all'inizio dell'anno accademico e distribuiscono ai nuovi studenti ed al personale della facoltà come mezzo per conoscere le persone del campus.
Lo scopo iniziale di Facebook era di far mantenere i contatti tra studenti di università e licei di tutto il mondo, ma col tempo si è ampliato e oggi è diventato una rete sociale che abbraccia trasversalmente tutti gli utenti di Internet.
Secondo i dati forniti dal sito stesso, 2010 il numero degli utenti attivi ha raggiunto e superato i 500 milioni in tutto il mondo. Secondo i dati forniti da Facebook e raccolti nell'Osservatorio Facebook, gli utenti italiani nel mese di ottobre 2010 sono 17,3 milioni.
Il sito nel 2009 è divenuto profittevole segnando il primo bilancio in attivo. A inizio 2010 l'azienda è stata valutata a 14 miliardi di dollari.

Come funziona?

Chiunque abbia più di 13 anni può iscriversi sul sito www.facebook.com. Gli utenti possono fare parte di una o più "reti", ad esempio quella della scuola superiore, del luogo di lavoro o la regione geografica. Una volta effettuato l'accesso e creato un proprio profilo, che può contenere foto e liste di interessi personali, si possono cercare attraverso il nome o l'indirizzo mail i propri amici e conoscenti iscritti a Facebook
Come per gli altri social network, i rischi di Facebook sono in gran parte collegati alla diffusione di informazioni personali.


Alcune cose che è bene sapere

  • Facebook acquisisce contrattualmente tutti i diritti, compresi quelli di sfruttamento commerciale e cessione a terzi, dei contenuti pubblicati, comprese le fotografie e i video. Può essere un danno per le immagini di carattere professionale, o che potrebbero diventare tali.
  • Oltre alle informazioni immesse dall'utente (nome, indirizzo email, numero di telefono e così via) ad ogni accesso viene registrato l'indirizzo IP e le informazioni relative al browser.
  • Il nome, i nomi delle reti di cui si fa parte e l'indirizzo e-mail saranno utilizzati per comunicazioni di servizi offerti da Facebook e possono essere messe a disposizione di motori di ricerca di terzi. Inoltre, secondo la normativa, Facebook ha il diritto di trasmettere a terzi le informazioni presenti nel profilo di un utente.
  • L'uso di Facebook da parte di compagnie o per scopi lavorativi/commerciali non è consentito ("personal use only")
  • Facebook è soggetto al fenomeno di creazione di falsi profili di personaggi famosi, è bene non lasciarsi ingannare

Cosa puoi fare per "limitare i danni" sulla diffusione dei tuoi dati?

  • Agisci opportunamente sulle impostazioni del profilo per limitare la diffusione dei dati personali: nel menù Impostazioni è disponibile la voce Impostazioni sulla privacy. Attenzione! Non esiste un controllo granulare di chi-può-vedere-cosa e l'opzione "nessuno" non è contemplata tra le scelte possibili su chi possa accedere alle informazioni: quasi sempre la scelta possibile è solo tra "amici" e "amici di amici".
  • Ti sconsigliamo di pubblicare dati "sensibili", come numero di telefono e indirizzo di casa.
  • Ricordati che per il codice della protezione dei dati personali italiano, l'utente ha comunque il diritto di chiedere informazioni in merito ai dati personali posseduti da terzi, al loro trattamento, di vietarne la pubblicazione, e di rendere definitiva la propria cancellazione dal sito.
Nella pagina "rischi e consigli" trovi altri suggerimenti per navigare al meglio sui social network.

Alcuni episodi legati alla pubblicazione di dati su Facebook

Quelli che seguono sono soltanto alcuni degli episodi, realmente successi, legati a Facebook. Possono far sorridere, ma devono servire da esempio per prestare molta attenzione quando si pubblica qualcosa sui social network.
  • Richiamato dal datore di lavoro
    Kyle Doyle, dipendente di un call center in Australia, dopo una giornata di assenza dall'ufficio, ha ricevuto una mail dal proprio datore di lavoro, nella quale si chiedeva un certificato medico, avendo fondati motivi per ritenere fasulla la motivazione medica dell'assenza. Alla sfida di Doyle, il datore ha risposto inviando in allegato una schermata della pagina di Facebook d el dipendente, nella quale l'utente segnalava agli amici che si era preso una sbronza galattica e si sarebbe dato malato.
  • Truffata per 4000 dollari
    Una signora statunitense ha ricevuto via facebook un messaggio da un'amica che le chiedeva dei soldi per poter tornare a casa dall'estero dopo aver subito un furto. In realtà il profilo Facebook dell'amica era stato violato da un criminale che lo usava per truffare.
  • Uccisa dal marito dopo essersi definita "single"
    Nel febbraio del 2009 un uomo ha ucciso la moglie con una mannaia da cucina perché la donna aveva dichiarato su Facebook di essere single. L'uomo si è poi dichiarato colpevole del delitto, affermando di essersi sentito umiliato, perché lei aveva cambiato il suo status sul sito di social networking appena quattro giorni dopo la separazione.
  • E non solo ci sono documenti importanti secretati che proverebbero che facebook e in stretta collaborazione con la national security agency nsa i super servizi segreti americani 
.

Oltre le notizie

Da quì, da questo blog nasce un nuovo modo di fare notizia e tenere informati i veliterni e tenere sotto controllo il territorio di velletri , affrontando , le relative problematiche trovando la soluzione più logica possibile per il bene della comunità e combattere l'ignoranza che ci attanaglia